giovedì 26 dicembre 2013

Web Edition - spunti, stralci, passaggi



INDICE



- Prefazione di Valeria Rossi
- "Introduzione"
- ”Andragogia e dintorni”
- “Ieri e oggi”
- “Cinofilosofia: genesi e anatomia di una distruzione”
- “Lupi e dintorni”
- “Presunti capobranco e accertata sinantropia"
- "Randagi e non"
- “Periodi sensibili”
- “Robotica evolutiva e detour”
- “La cooperazione tra specie”
- “Accezioni semantiche e clicker training”
- “Socioreferenza ed etologia della voce"
- “I valori reciproci, i valori condivisi”
- “La prossemica: uso, abuso e chi vìola lo tasso”
- “L’aggressività”
- “Il recupero comportamentale”
- "Ringraziamenti"







Dal capitolo 
Introduzione

"Così come i cani sono stati sempre i miei migliori insegnanti, lasciandosi scoprire giorno per giorno con estrema lealtà ed interesse, lo stesso non si può dire del “mondo degli uomini” – o almeno di una sua parte – che ritiene di vantare certezze sulle quali i cani probabilmente ironizzano, perdonandoci un buon numero di errori attraverso la loro riconosciuta fedeltà."








Dal 
IX capitolo
(La cooperazione tra specie)

In base alla durata – per così dire – del fenomeno simbiotico, si sono classificate la SIMBIOSI CICLICA e quella PERMANENTE (La simbiosi tra lo squalo ed il pesce pilota, per fare un esempio, è stata quella da cui sono partiti i miei studi etologici, ed utilissima per capire le interazioni - in quel caso idrodinamiche e legate al COMMENSALISMO – ed il loro sfruttamento da parte del pesce pilota. In ambito cinofilo, questo studio si è tradotto nello sviluppo del lavoro con i “Cani tutor”, in quello che viene definito “shielding effect”).”






Dal 
IX capitolo
(La cooperazione tra specie)

In sostanza, la valenza che l’accezione scientifica determina nelle masse, è sempre più spesso quella di “certezza inoppugnabile”, ma se ritenuta tale tradisce letteralmente il significato stesso di “teoria scientifica”, quale – in realtà - verità dinamica e mutevole .
La scientificità di uno studio risiede nel metodo applicato ad ogni sua sezione, mirando ad una certa accuratezza, ma non potrà MAI essere garante assoluta.
Ques
to significa che la scienza non può vantare studi di insindacabilità o definitività, né possiede sempre margini così netti rispetto ai molti studi declassati spesso a “pseudoscientifici”.
A mio modesto parere, sarebbe opportuno preservare una certa umiltà; soprattutto in didattica cinofila, nella consapevolezza che le diverse “verità di oggi” faranno sorridere domani, esattamente come le stesse – in molte occasioni – fanno già sorridere coloro che ci guardano dal passato.







Dal 
XV capitolo
(Il recupero comportamentale)


Prendiamo il caso di un cane dotato di un certo carattere e di una buona tempra.
Alla prima insorgenza di problemi più o meno gravi (all’inizio non sono mai significativi, quanto più delle vere e proprie anticamere) l’educatore cinofilo generalmente invita i proprietari a “ignorare” gli atteggiamenti indesiderati, premiando quelli opportuni.
Secondo questa romantica visione del mondo animale, si ritiene che il soggetto prima o poi capisca quali s
iano gli atteggiamenti da tenere (quelli premiati) e quelli da evitare (quelli ignorati dal proprietario), ma così facendo – in realtà - non verrebbero considerati, né valutati correttamente, gli inneschi che portano a quel determinato comportamento, riducendo il tutto alla questione sociale.
Il cane – quindi - che cosa potrebbe fare secondo questo schema?

1) capire da solo il comportamento giusto
2) tentare altre strade per esprimere il suo disagio (visto che viene ignorato)

Il risultato – stando ai dati – è che il cucciolo diventa con il tempo un adulto, ed i problemi che prima venivano ignorati si amplificano in coincidenza della sua maturità sessuale, fissandosi nei periodi immediatamente successivi.
Nel giro di due anni, i proprietari contattano lo specialista per l’evidente ingestibilità del loro cane.
Secondo questa analisi – confrontata peraltro con tanti colleghi che si occupano di recupero comportamentale – emergono limiti professionali squisitamente umani che sono riconducibili ad un periodo chiave della vita del cane (il maggior numero di danni viene fatto proprio nel lasso di tempo che parte dai novanta giorni fino ai due anni, a seconda della razza).
La cosa diventa ancora peggiore nel momento in cui le basi educative vengono impostate attraverso le concessioni di cibo, e molti cinofili che sono venuti a trovarmi nel tempo hanno visto con i loro occhi con quale velocità un marsupio pieno di bocconcini è capace di scatenare reazioni legate al concetto di risorsa primaria; soprattutto nel momento in cui è indossato in modo disinvolto dal proprietario (motivo per cui non dovrebbero essere usati nelle classi di socializzazione, a cui partecipano normalmente un certo numero di cani).
Riferendomi a questo tema, qualcuno sostiene che - per i behaviouristi - il “cane competitivo” sia in realtà un “cane dominante”, ma la competizione – oltre ad essere molto spesso indotta – non può sposare un sistema sociale, dal momento che, per definizione stessa, è un principio di scontro non cooperativo (vedi le aggressioni competitive nel capitolo XIV).
Le regole sociali seguono indirizzi di status tra i vari livelli, ma questo non significa che la dominanza assuma dei connotati dittatoriali, ma che sia più semplicemente uno dei tanti ruoli (nei cani, tra l’altro, di tipo plastico) che permettono all’intero gruppo di concorrere alla sopravvivenza.
Come si induce quindi la competizione in tale contesto?
In un modo molto semplice: legandosi la relazione con il proprietario attraverso il cibo (da cui ricordo si scatenano tutte le attività di specie), i meccanismi interni deputati alla sopravvivenza si sovrappongono a quelli prettamente sociali e/o di legame, e nel momento in cui un individuo esterno – un altro cane – entra in gioco, le risposte saranno multiple in quanto associate a fattori diversi.
Lo stesso vale quando si osservano tre cani dello stesso proprietario rincorrere una pallina.
Essendo questa, molto spesso, uno strumento relazionale all’interno della quale il cane vede una forma di comunicazione vincente, ed un momento intimo con l’essere umano, la competizione potrebbe scatenarsi proprio per l’ottenimento dell’approvazione (e non dell’oggetto, il quale diventa mezzo, tramite), per tutelare – in qualche modo - l’interazione stessa con il proprietario anche a causa delle varie forme di gratificazione a cui queste sono legate
.






Dal 
XV capitolo
(Il recupero comportamentale)

Conoscere le vere motivazioni del cane significa facilitare il suo percorso educativo, perché il loro allenamento si tradurrà in un effetto disciplinante dentro al quale verranno messe in atto tutti quei valori condivisi – e condivisibili – che sul medio e lungo termine si tradurranno in un’unica soluzione: un binomio sereno e consapevole.
Al contrario, frustrare le motivazioni (mi vengono in mente i “Retriever da sal
otto”, i “Border Collie da divano”, i “Jack Russel da cuscino”) porta alla naturale conseguenza del degrado psichico con effetti devastanti sia da un punto di vista comunicativo che relazionale.
La mente del cane ha forti capacità di memorizzazione e di elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente (oltre che dall’organismo) e questo significa che ogni sua esperienza sia in grado di forgiare le capacità mentali creando un ponte di collegamento tra ciò che accade, ciò che viene percepito attraverso il suo sistema sensoriale, ciò che proviene dalle emozioni per quanto il soggetto ricerchi sulla base delle motivazioni.
Lavorare sull’educazione del cane significa quindi dare una cornice all’espressione delle motivazioni e fare in modo che vengano poste in atto nei giusti contesti, creando un registro di espressione motivazionale fondato sulla collaborazione in grado di promuovere un vissuto fatto di esperienze positive, e che abbia al contempo il giusto peso nella rappresentazione mentale del cane nei confronti del mondo che lo circonda.






Dal 

XIII capitolo
(La prossemica)

"Lo spazio personale quindi non ha solo la funzione di proteggere l’individuo (cane, cavallo o uomo che sia), ma quella di comunicare i vari gradi di soddisfazione e di insoddisfazione, disagio o paura, consci ed inconsci.
D’altra parte, i confini di ogni essere vivente sono definiti dalla propria pelle, ma rientrando la prossemica nel linguaggio non verbale, e quindi nel valore – più o meno complesso – della distanza e della percezione emozionale dell’altro, si possono definire le cosiddette “soglie di distanza” e le “soglie di attrazione” (Albert Scheflen suddivide il processo di attrazione in cinque passi) entro le quali far girare un sistema di comunicazione sociale.
"





Dal 

IX capitolo
(La cooperazione tra specie)

La zooantropologia dice di aver introdotto un nuovo concetto nella relazione uomo-animale, cioè quello di “referenza animale”, ovvero (CIT) di relazione con l’eterospecifico capace di apportare all’uomo dei contenuti di cambiamento.
Personalmente credo che questo accada a prescindere dalla zooantropologia, e a suffragio della mia riflessione – riferendomi proprio ai contenuti – basterebbe ricordare com'era la nostra vita prima che
 avessimo un cane e quanto questo abbia inciso – e cambiato alla base – successivamente il nostro mondo, la percezione dello stesso e la sostituzione delle nostre priorità.
Il proprietario attento CRESCE con il suo amico a quattro zampe, soprattutto se interpreta la sua relazione come un momento attivo e di continua partecipazione.
I cani non ci insegnano solo qualcosa del LORO mondo, ma molto delle dinamiche del mondo in generale: un mondo che non è più composto semplicemente da un uomo e da un cane, ma da un BINOMIO (unico ed irripetibile) che – se ben costruito - nessuno sarà mai capace di separare.
La cooperazione tra specie è anche questo: l’apporto all’uomo nei contenuti di cambiamento (per certi versi simili al concetto di “apprendimento sociale”), i quali vanno spesso ben al di là del binomio stesso, traducendosi sempre più in un vero e proprio “stile di vita”.
Negare questo fenomeno, significa negare l’essenza di una comunicazione bidirezionale
.”






Dal 

III capitolo
(Cinofilosofia: genesi e anatomia di una distruzione)


La vanità di omologare ed imbottigliare il tutto in un “metodo pronto all'uso” (piuttosto che tra un approccio e l'altro) rappresenta lo sbarramento – e la linea di confine – tra chi vuole andare oltre la banalità o restarci.
I cani – come tutti gli animali – sanno sorprenderci ogni giorno proprio perché ci chiamano ad abbattere le nostre barriere mentali, invitandoci VERSO di loro e CON loro.
Il solo fatto di farli vivere nella convenzionalità farebbe emergere prima o poi quella che noi chiamiamo “imprevedibilità”; un lato che guardiamo sempre con sospetto essendo noi stessi, ogni giorno di più, convenzionali.





Dal
III capitolo
(Cinofilosofia: genesi e anatomia di una distruzione)

"...ecco perché il sottotitolo di questo libro è “Storia di una relazione”.
Non esistono verità assolute nella relazione uomo-cane, ma più semplicemente “parti di verità” inserite nell'irripetibilità e nell'identità propria dei vari rapporti tra noi ed il nostro cane.
Dieci golden retriever avranno dieci proprietari diversi, dieci relazioni diverse tra loro a cui concorreranno dieci contesti diversi e altrettanti stimoli.
La vanità di omologare ed imbottigliare il tutto in un “metodo pronto all'uso” rappresenta lo sbarramento – e la linea di confine – tra chi vuole andare oltre la banalità o restarci.
"






(Il fotografo della copertina: Chico de Luigi)




(durante i seminari)




(retro)



(con il Maestro Paolo Villani)




(con il mio "Eugenio" - PH di Stefano Are ©)



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